Descrizione
Gli Scalitì alla Farina Gialla di Storo (Polenta) sono leggeri, gustosi e croccanti.
Gli Scalitì alla Farina Gialla di Storo riportano alla memoria taglieri di polenta fumante, il fondo croccante del paiolo in rame, le domeniche in famiglia.
Un gusto antico in uno snack irresistibile da ricordare.
Senza Glutine.
Fonte di Fibre.
Non Fritto.
FARINA GIALLA DI STORO
La Farina Gialla di Storo, tra i prodotti tipici più conosciuti del Trentino, grazie al quale è possibile cucinare la non meno conosciuta Polenta di Storo.
Prodotta dal grano “Marano” che viene coltivato rispettando i cicli della natura, senza alcuna forzatura agronomica, e poi macinato nel mulino di Storo.
Una farina, quella di Storo, facilmente riconoscibile anche nel colore, dovuto alla colorazione dei chicchi delle sue pannocchie che tendono al rosso, e facilmente digeribile.
Dal caratteristico granoturco Nostrano di Storo, le pannocchie, raccolte alle prime brume d’ottobre e poi asciugate dai secchi venti di montagna, vengono lentamente macinate per conservarne intatti i principi nutritivi e seduzioni di profumi, sì da farVi assaporare la vera “polenta di montagna”.
L’utilizzo della farina gialla di Storo non si limita però alle classiche polente quali ad esempio quella Carbonera, Macafana e concia, ma spaziano anche tra gustosi antipasti e dessert.
QUANDO IL GRANOTURCO NON ERA IL RE
La storia alle spalle di Agri 90
Oggi il “formentàss” ha invaso tutta la campagna, ma una volta mica era così. La lavorazione aveva i suoi ritmi, precisi ed intoccabili.
Quaranta o cinquanta giorni dopo la semina, “se scarpava fo l’erba”: non c’erano i diserbanti.
“I veci i fava su i mucli, e i giuagn avanti e ‘ndré a portar stevài de erba”. Si toglievano le cime per il tempo in cui le vacche venivano dal monte, d’inverno.
Dalle foglie si facevano mazzetti che venivano portati sul solaio. A quel punto in cima al “malgàs” rimaneva solo la pannocchia, perchè si era usato tutto il resto. Si tiravano su anche gli “scartòs” in cui non c’era dentro niente.
Quando dicevi al nonno: “Ma qui non c’è dentro niente”, ti guardava e ti rispondeva: “L’asino mangia anche questo!”. Dagli torto! In Cooperativa c’erano due “moliner”: uno macinava di giorno e uno di notte. È da tenere presente che si macinava molto, e si macinava pure il frumento. Era una Storo povera, ma solidale.
A Santa Lucia le famiglie davano un “masol de formentàss” ai frati (da un “masol” si ricavavano tre polente).
In mezzo al formentàss seminavano anche i fagioli, così quando si raccoglieva il grano si raccoglieva anche il “bagiàne”. In generale si metteva un campo di patate, uno di frumento e due di granoturco. Che aveva molto terreno ne metteva anche tre.
Le incombenze in campgna erano molte. Il lavoro era lento, e servivano braccia. Allora “ci si rendeva il tempo”. “Sgarbàr”, “scartociàr”, “tirar su l’tabàc”… A zappare un campo ci si metteva anche una settimana, quindi bisognava essere in cinque o sei. Ecco che ci si rendeva il tempo. Le famiglie si mettevano assieme: spesso erano i parenti, ma non necessariamente.
Le donne preparavano il pranzo, che i bambini portavano al campo.
FORMANTASS SUI SPERGOI
Il granoturco sui balconi
Incastonato nella Valle del Chiese Storo ospita ogni anno una suggestiva manifestazione, frutto dell’antica tradizione contadina.
Ogni anno i caratteristici balconi in legno del Borgo si colorano d’oro esibendo incantevoli scenografie dove la pannocchia di mais è la protagonista.